Questo è un articolo che scrissi anni fa e mi prese molte settimane: alimentazione vegana in ambito sportivo.
È un argomento delicato, un argomento che divide e genera discussioni, ma proprio per questo credo sia importante cercare di fare informazione di qualità. Provarci quanto meno.
Ad oggi si trova di tutto sul web, non c’è nulla che io possa scrivere che non sia già stato scritto. Tuttavia, sull’alimentazione vegana c’è ancora tanta, tanta confusione. Questo perché spesso viene data risonanza soprattutto a materiale “pro” o “contro”, tendenzialmente di basso livello, sia da un lato che dall’altro. In alcuni casi, a suffragio delle proprie convinzioni, vengono scomodati anche rivoluzionari studi scientifici e citate prestigiose riviste ma, pensandoci bene, strumentalizzare uno studio scientifico, che magari non si ha neanche compreso, è davvero un attimo. Si trova quel che si cerca d’altronde.
Io non sono un ricercatore scientifico, e non ho certo le competenze per comprendere la potenza statistica di singoli studi sulla materia. Ecco perché non l’ho fatto. Tutto ciò che segue è tratto da linee guida nazionali ed internazionali e revisioni sistematiche della letteratura ad opera di organizzazioni internazionali.
L’idea è semplice. Vedere quali sono nell’alimentazione vegana le reali difficoltà dal punto di vista nutrizionale e fornire degli strumenti pratici per affrontarle.
L’articolo è diviso nei seguenti argomenti (come un’etichetta nutrizionale):
– ENERGIA
– PROTEINE
– CARBOIDRATI
– GRASSI
– VITAMINE (tra cui la B12) E SALI MINERALI (tra cui il Ferro)
– INTEGRATORI
Per ognuno di questi punti vediamo le criticità dovute all’alimentazione vegana e dei consigli pratici per risolverli. Parlerò, quindi, soprattutto delle potenziali problematiche e delle strategie per risolverle. Per finire ho inserito anche un esempio di giornata, al tempo stesso semplice ed in linea con i parametri che vedremo tra poco.
Trattandosi di consigli rivolti ad un’intera categoria, ed essendo la categoria molto eterogenea (sesso, età, disciplina sportiva) per l’applicazione sul singolo sarebbe ovviamente necessario un approfondimento ed una personalizzazione.
Let’s begin!
Energia
Con energia intendiamo, di fatto, le calorie. Nello sportivo abbiamo un “problema” insolito. Se nel sedentario cerchiamo spesso la strategia per ridurle qui la situazione è un po’ diversa; ci sono alcune fasi dell’allenamento, quelle dove “si spinge”, in cui è facile che le calorie introdotte siano troppo POCHE per soddisfare il fabbisogno energetico. Questa carenza, quando presente, specialmente se protratta in cronico, ha effetti sia sulla performance (mancato adattamento allo stimolo allenante) che sulla salute (abbassamento delle difese immunitarie).
L’alimentazione vegana, in questo senso, è poco vantaggiosa. Essendo ricca di fibre ed alimenti a bassa densità energetica può essere d’aiuto in un processo di dimagrimento ma molto meno in queste circostanze. Un’alimentazione di questo tipo tende, infatti, a saziare piuttosto velocemente e, in questo caso, non è un bene.
Soluzione?
Semplice. Aumentare:
1) La frequenza dei pasti. Il numero dei pasti nell’arco della giornata non è solitamente un dato rilevante ma, in questo caso, aumentare la frequenza dei pasti a discapito della quantità del singolo pasto risulta TENDENZIALMENTE più sostenibile. Risulta infatti TENDENZIALMENTE complicato fare pasti da 1500 calorie con alimenti molto sazianti e fibrosi. Detto ciò, questo punto è comunque molto personale e dipende esclusivamente da come l’atleta si sente meglio; nella maggior parte dei soggetti risulta più gestibile in questo modo, facendo molti pasti.
2) Alto consumo di alimenti ad alta densità energetica quali semi, frutta secca ed olii.
Certo, sono tutti alimenti ricchi di lipidi (e proteine per semi e frutta secca) ed andremo ad alterare la composizione della dieta ma, essendo la dieta vegana generalmente povera di lipidi, ciò non dovrebbe rappresentare un problema nella maggior parte dei casi.
Proteine
Che il fabbisogno proteico dello sportivo sia maggiore rispetto a quello del sedentario è ormai assodato da anni. Sulla differenza tra proteine animali e proteine vegetali si parla, invece, ancora molto. Come mai, qual è la problematica delle proteine vegetali?
Le criticità sono essenzialmente due:
1) Valore biologico inferiore rispetto alle proteine animali.
Il valore biologico inferiore è dato dalla carenza di uno o più aminoacidi essenziali nella composizione della proteina vegetale. Al nostro corpo, per sintetizzare nuove proteine, occorrono tutti e 8 gli aminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni e, se alcuni sono mancanti, essi frenano la sintesi. Questi aminoacidi mancanti vengono definiti “aminoacidi limitanti” e caratterizzano il tipo di proteina vegetale.
Per chi non mastica l’argomento.
Immaginiamo di dover assemblare 10 martelli: se abbiamo 10 manici e solo 5 masse di ferro, quest’ultime sono l’elemento limitante perché non mi consentono di assemblare tutti e 10 i martelli ma solo 5. Lo stesso identico discorso vale per gli aminoacidi, che sono i mattoncini che costituiscono le proteine. Si parla di essenziali in quanto devono obbligatoriamente essere assunti con l’alimentazione mentre gli altri aminoacidi siamo in grado di sintetizzarli da noi.
Ebbene, nelle proteine animali gli aminoacidi essenziali sono presenti in proporzione ottimale, mentre in quelle vegetali è quasi sempre presente almeno un aminoacido limitante.
2) Digeribilità inferiore rispetto alle proteine animali.
Anche per quanto riguarda la digeribilità le proteine vegetali risultano essere leggermente inferiori a quelle animali. Esistono a tal proposito dei veri e propri “indici di digeribilità” tra cui i più famosi sono DIIAS e PDCAAS ed entrambi vedono punteggi maggiori per le proteine animali. Ma non c’è da stupirsi perché l’elemento che incide maggiormente su tali parametri è quello sopra descritto e cioè la presenza o meno dell’aminoacido limitante. Un secondo motivo è rappresentato dalla presenza negli alimenti vegetali di fattori anti nutrizionali quali l’acido fitico ed i tripsino – inibitori che limitano l’assorbimento dei nutrienti.
Soluzioni?
1) Valore biologico
Per fortuna l’aminoacido limitante di cui parlavamo non è sempre lo stesso: ad esempio, nei cereali è carente la lisina mentre nei legumi sono carenti gli aminoacidi solforati; considerando che i legumi sono ricchi di lisina ed i cereali di aminoacidi solforati combinando questi due alimenti ottengo una proteina completa, priva di aminoacidi limitanti. Rispetto a quanto si pensava fino a poco tempo fa, non è inoltre necessario che fonti differenti di proteine vengano consumate nello stesso pasto.
Altro aminoacido spesso carente nell’alimentazione vegana è la leucina, aminoacido chiave per la sintesi di nuova massa muscolare (abbondante nei latticini). Tuttavia, la leucina è presente in buona quantità nella frutta secca, comunemente poco considerata quando si pensa alle fonti proteiche. Oltre a cereali, legumi e frutta secca, anche molti semi sono ricchi di proteine.
In pratica per ottenere con l’alimentazione vegana tutti gli aminoacidi necessari occorre variare sapientemente le fonti proteiche evitando la monotonia. In questo modo, verranno introdotti tutti gli aminoacidi essenziali di cui abbiamo bisogno.
2) Digeribilità
La soluzione qui è ancora più semplice: assumere più proteine!
Le raccomandazioni dell’ISSN, rivolte a tutti gli sportivi, parlano di 1,4 – 2 g/kg per atleti in condizioni di normocalorica o ipercalorica e di 1,8 – 2,7 g/kg per atleti in condizioni di ipocalorica. Ebbene, per gli atleti vegani si suggerisce di puntare al valore più alto (2 e 2,7 rispettivamente). Semplice, no?
Carboidrati
I carboidrati sono il nutriente più rappresentato nell’alimentazione dello sportivo, in particolare negli sport di resistenza. Il fabbisogno glucidico in alcuni casi arriva addirittura a 12 g/kg che per una persona di 80 kg equivalgono a circa 1 chilo al giorno (circa un chilo e mezzo di pasta).
Da questo punto di vista la dieta vegana si sposa alla perfezione. Le diete vegan sono, infatti, tendenzialmente più ricche in carboidrati rispetto alle diete onnivore o latto-ovo-vegetariane.
Ma vediamo subito la criticità.
Come abbiamo già visto è alto anche il fabbisogno proteico, quindi mi converrà consumare cereali prevalentemente integrali, più ricchi di proteine rispetto ai corrispettivi raffinati. Inoltre, anche i legumi, la principale fonte proteica in un’alimentazione vegana, sono ricchi di fibra. Tutto ciò comporta inevitabilmente un introito altissimo di fibra, che porta a sazietà precoce. Come già discusso parlando di energia, questo è un aspetto ricercato nelle diete dimagranti ma non nello sportivo, specialmente se di alto livello, o comunque che si allena moltissimo.
Oltre alla sazietà precoce, un elevato quantitativo di fibra potrebbe condurre a fastidi gastrici e discomfort intestinale.
Soluzione?
Semplice anche qui. In periodi dove il fabbisogno è particolarmente alto si può ovviare essenzialmente in due modi:
1) Scelta di alimenti naturalmente meno ricchi di fibra. Ad esempio, riso, pasta e patate sono naturalmente meno ricche di fibra rispetto ad avena, farro ed orzo. Tra i legumi, invece, si può optare per le versioni senza la buccia, come le lenticchie rosse decorticate. Questo aspetto evidenzia la grande differenza tra l’alimentazione di uno sportivo e quella di un sedentario.
2) Preparazione e cottura. Ci sono delle modalità di cottura che facilitano la digestione degli alimenti particolarmente fibrosi:
– nei legumi la setacciatura e successiva rimozione della buccia (a legume ben cotto) con il passaverdura.
– la rimozione della buccia negli ortaggi
– la cottura “consistente” degli amidi, in pratica riso e pasta ben cotti.
Infine, anche il grado di maturazione della frutta incide: una banana matura è meno ricca di fibra rispetto ad una banana ancora sul verde.
Ci tengo nuovamente a sottolineare che questi sono consigli mirati a sportivi con alte richieste energetiche, glucidiche e proteiche, che mal gestiscono una quota davvero consistente di fibra. In un soggetto sedentario, le indicazioni sono spesso diametralmente opposte.
Grassi
L’alimentazione vegana è tendenzialmente povera di grassi, in particolare di grassi saturi, ed è priva di colesterolo; allo stesso tempo è ricca di grassi Omega 6.
Fino a qui tutto positivo, specialmente sul fronte della protezione cardiovascolare.
Si potrebbe aprire una parentesi sull’effetto che una bassa quota di grassi totali ha sul profilo ormonale, in particolare sul testosterone, ma ad oggi l’evidenza scientifica ci dice che gli atleti vegani NON hanno valori di testosterone inferiori ai colleghi onnivori. Per riscontrare problematiche occorrerebbe, infatti, che la quota di grassi fosse davvero molto bassa e ciò avviene più che altro nel body building, nei “cut” intensi e prolungati. Per gli sport dove si fa il “taglio del peso” occorrerebbe invece una trattazione a parte.
Ma parliamo del vero problema: gli Omega 3.
I vegani consumano meno Omega 3 degli onnivori ed anche il loro valore sanguigno tende ad essere inferiore. Questo è un fattore importante e da tener bene in considerazione, sia in ottica salute che in ottica performance.
Gli omega 3 svolgono, infatti, molte funzioni importanti, specialmente a livello di cervello, cuore e vasi sanguigni. Di particolare interesse per lo sportivo i benefici apportati sotto il profilo cardiovascolare mediante la produzione di Ossido Nitrico, un vasodilatatore, e l’aumento della variabilità della frequenza cardiaca, indice di salute cardiaca.
Gli Omega 3 sono, inoltre, un nutriente essenziale, così come lo sono anche gli omega 6, che sono qui invece molto ben rappresentati. La massiccia presenza di quest’ultimo è in realtà un motivo in più per stare in guardia perché entrambi, Omega 3 ed Omega 6, hanno un’azione simil – ormonale ed agiscono entrambi sugli stessi target con azione spesso opposta. Tra questi target c’è l’infiammazione e mentre gli Omega 3 hanno un’azione antinfiammatoria gli omega 6 hanno un’azione pro – infiammatoria. Un forte squilibrio tra Omega 6 a ed Omega 3, a favore dei primi, riscontrabile nella maggior parte delle persone, sia vegane che non, favorisce lo stato infiammatorio.
Attenzione, con questo non voglio certo far passare il messaggio che gli Omega 6 siano dannosi. Assolutamente no. L’infiammazione è solo una delle tante funzioni che svolgono ed ha anch’essa una sua utilità, vitale per l’organismo; l’infiammazione è, infatti, un meccanismo fisiologico ed importante, sarebbe deleterio se questa via si “spegnesse”. Da correggere è, invece, l’ECCESSO di infiammazione, spesso presente in forma latente e generata da più fonti, alimentari e non. Parlando dei grassi alimentari occorre fare attenzione alla qualità di essi ed al rapporto tra omega 6 ed omega 3.
Non si scappa, nell’alimentazione vegana è necessario correggere il tiro sotto l’aspetto lipidico aumentando l’introito di Omega 3.
Ma come mai questa carenza nei vegani?
Innanzitutto non riguarda l’intera “famiglia” di omega 3; di acidi grassi omega 3 ce ne sono, infatti, diversi tipi e differiscono tra loro per la lunghezza della “catena” di atomi di carbonio. I 3 principali sono:
Acido Linolenico – ALA –> 18 atomi di carbonio
Acido Eicosapentanoico – EPA –> 20 atomi di carbonio
Acido Docosaesaenoico – DHA –> 22 atomi di carbonio
Nell’alimentazione vegana è carente l’assunzione di EPA e DHA, negli onnivori ottenuta tramite il pesce. Essenziale per la verità è ALA, mentre EPA E DHA possono essere sintetizzati a partire da ALA. Il problema è che il corpo fatica a convertire ALA nei corrispettivi a lunga catena, in particolar modo in DHA. Aumentando l’assunzione di ALA otteniamo infatti un aumento significativo anche di EPA ma non di DHA.
Soluzione vegan friendly?
No problem.
Come per proteine e carboidrati la soluzione si articola in due punti:
1) Aumentare con l’alimentazione il consumo di ALA. Alimenti vegetali naturalmente ricchi di ALA sono l’olio ed i semi di lino, le noci ed i semi di chia. Da notare che questi alimenti sono molto utili anche per altri aspetti, ad esempio i semi di chia hanno un ottimo profilo aminoacidico (proteina completa) ed i semi di lino sono ricchi di lignani (composti fenolici dalle numerose proprietà benefiche).
2) SUPPLEMENTARE con DHA. Qui si consiglia l’utilizzo di un integratore/supplemento. Nel dettaglio l’Olio di Microalghe, ricco sia di EPA che di DHA. Si consiglia 1 – 2 grammi di Olio di MIcroalghe al giorno che equivalgono a circa 2 – 4 capsule nella maggior parte dei prodotti commerciali.
Micronutrienti
Legato al maggior apporto di fibre, frutta e vegetali che accompagna le diete vegane vi è generalmente un maggiore apporto di composti fitochimici (non fatevi ingannare dal nome, si tratta di composti naturalmente presenti nelle piante) ed antiossidanti. Questa presenza di micronutrienti, svolgendo un’azione antinfiammatoria, potrebbe rappresentare un vantaggio rispetto alle diete onnivore, favorendo il recupero e mitigando la produzione di radicali liberi, specie in atleti di resistenza. Tuttavia, questo è un aspetto ancora da dimostrare scientificamente.
Ma veniamo alle potenziali problematiche.
L’Academy of Nutrition and Dietetics (ex American Dietetic Association) ha indicato quali sono i micronutrienti da tener d’occhio nel designare un’alimentazione vegana:
– Vitamina B12
– Vitamina D
– Ferro
– Zinco
– Calcio
– Iodio
Vitamina B12
La Vitamina B12 è una vitamina di origine microbica, cioè sintetizzata dai batteri, fondamentale per la sintesi dei globuli rossi e per la salute del sistema nervoso. Una sua carenza conduce ad Anemia e manifestazioni neurologiche.
Carenza che, nell’alimentazione vegana, è nota e considerata proprio il tallone d’achille perché manca una soluzione “naturale”. Se volessimo assumerla esclusivamente tramite alimenti vegetali occorrerebbe, infatti, che questi fossero “contaminati” da batteri producenti la vitamina. E se vivessimo in natura sarebbe così. Di fatto nell’alimentazione moderna l’unica fonte di vitamina B12 è rappresentata dai prodotti animali, ove la vitamina si trova già formata, creata dai batteri nel rumine degli animali (quando si cibano d’erba).
Per la verità anche nel nostro corpo i batteri la producono; sfortunatamente la producono in un punto (il colon) dove l’assorbimento dei nutrienti è già terminato.
Il fabbisogno di vitamina B12 è modestissimo ed il corpo possiede delle scorte a livello del fegato che possono durare per anni, motivo per cui inizialmente non sembra mai essere un problema. Tuttavia, è un argomento da non sottovalutare perché un’insufficienza può condurre ad Anemia e Neuropatia, fino ad arrivare a danni neurologici irreversibili se l’insufficienza è cronica.
Studi clinici hanno, in effetti, dimostrato che i vegani sono carenti di questa Vitamina.
Soluzione?
Due possibilità:
1) Utilizzo di integratori. Questa è la strada più semplice. Per quanto riguarda le quantità è consigliabile puntare a 6 microgrammi al giorno, sebbene il fabbisogno di riferimento si aggiri sui 2 microgrammi. Ciò è dovuto alla limitata capacità del nostro organismo di assorbire la vitamina dai supplementi orali.
2) Utilizzo di alimenti fortificati, cioè alimenti a cui è stata aggiunta la Vitamina con un processo tecnologico Gli alimenti a cui solitamente è addizionata la vitamina sono cereali da prima colazione e bevande vegetali (latte e yogurt di soia). Il concetto è lo stesso, varia la via di somministrazione.
Ovviamente è possibile cumulare le due possibilità e non è necessario che siano esattamente 6 microgrammi al giorno; il corpo ragiona in lassi di tempo molto più lunghi.
Mantenere monitorato da un Medico lo stato della B12 è sempre consigliabile per chi sposa l’approccio vegano a lungo termine ed in particolar modo per sportivi e donne in gravidanza.
Vitamina D
Altro argomentone! sto inserendo i micronutrienti in ordine di criticità ed ero indeciso tra B12 e D per la prima posizione.
Argomentone per tre motivi:
– gran parte della popolazione è carente
– i vegani ne assumono meno dall’alimentazione
– è particolarmente importante per gli sportivi
Ma che cos’è la Vitamina D? La Vitamina D è una vitamina LIPOsolubile (non si scioglie in acqua ma si scioglie in olio) che agisce in moltissimi processi fisiologici; è famosa soprattutto per il suo ruolo sinergico con il Calcio nella salute ossea ma la sua importanza non scaturisce solo da questo, fa molto altro. Rimanendo nell’apparato locomotore, è di particolare interesse per uno sportivo l’impatto che ha sulla muscolatura, dove stimola sintesi proteica, cioè creazione di nuove proteine muscolari, e contrazione muscolare.
Tra gli effetti, invece, extra scheletrici, di fondamentale importanza è l’azione svolta sul sistema immunitario, dove un valore adeguato di Vitamina D risulta essere protettivo di fronte a svariate patologie (dall’influenza fino al tumore).
Ma dove si trova?
La fonte primaria di Vitamina D è per tutti il sole, il quale, grazie ai suoi raggi ultravioletti, trasforma un derivato del colesterolo presente nella pelle nella previtamina D3, la quale sarà poi attivata a livello di fegato e di reni.
Questa quota non è però sufficiente. Probabilmente lo sarebbe se vivessimo sempre all’aria aperta (e senza vestiti, almeno d’estate) ma nella pratica è necessario che venga implementata con l’alimentazione.
La vitamina D si trova, però, soprattutto negli alimenti di origine animale, nei quali funge da riserva vitaminica, mentre è trascurabile la sua presenza nel regno vegetale. Un’eccezione è rappresentata dai funghi (che in effetti non fanno parte del regno vegetale), in particolare i funghi porcini, ma anch’essi non sono sufficienti, presi da soli, a garantire un adeguato apporto di Vitamina D.
Cosa fare?
L’ideale, e questo vale per tutti, vegani e non, sarebbe innanzitutto verificare la propria condizione di partenza tramite un semplice esame del sangue dosando “25-idrossivitamina-D (25-OH-D)”(metabolita idrosolubile).
Stabilito il livello sarà poi compito del Medico indicare la via a seconda della necessità, specialmente in caso di carenza conclamata.
Per quanto riguarda i valori di riferimento, per uno sportivo l’ideale sarebbe puntare almeno a 30 – 40 ng/ml, considerando che valori ottimali rientrano tra i 40 ed i 70 ng/ml e valori inferiori a 20 ng/ml indicano, invece, una deficienza vitaminica.
Se volessi agire d’anticipo?
Per prevenire, dopo aver verificato di non essere già carente / insufficiente, dovrei fare una cosa semplice: garantire al mio corpo una quota maggiore o uguale a quella del mio fabbisogno. E qui casca l’asino. Il fabbisogno lo conosco (linee guida), la quota assunta con l’alimentazione la posso stimare, ma quella sintetizzata grazie ai raggi solari? non la posso stabilire con esattezza perché dipende da troppi fattori: il tipo di pelle, l’età, il sesso, la quantità di grasso, l’orario di esposizione, la stagione ecc ecc.
Meglio non complicarsi la vita e pensare semplice. Le linee guida parlano di un fabbisogno di circa 1500 IU per un adulto sano e si stima che la quota derivante dall’alimentazione sia solo di 300 IU. La grande differenza la fa, quindi, l’esposizione solare.
Se il mio stile di vita mi porta a trascorrere diverse ore al sole posso stare relativamente tranquillo e pensare a come cucinare i funghi, in caso contrario è fortemente raccomandabile integrare con almeno 1200 IU (vale anche per gli onnivori). La soglia massima indicata dall’IOM ammonta a 4000.
Per la verità, l’AND, ex American Dietetic Association, consiglia per precauzione l’integrazione a tutti i vegetariani che non consumino alimenti fortificati con vitamina D, in America molto diffusi specialmente negli alimenti da prima colazione.
Morale della favola
Per tagliare la testa al toro l’opzione più sicura rimane quella di:
1. Verificare la propria condizione chiedendo al proprio Medico di base il dosaggio della Vitamina D nei comunissimi esami del sangue.
2. Agire di conseguenza seguendo l’indicazione medica.
Un’integrazione preventiva potrebbe comunque avere senso, specialmente nei mesi invernali dove il 50 % dei soggetti italiani, giovani ed in salute, risulta essere deficiente di vitamina D.
Di un possibile stato carenziale di Ferro nelle diete vegetariane/vegane si è sempre parlato molto, ed il motivo è piuttosto semplice: il ferro contenuto nelle fonti vegetali viene assorbito più difficilmente di quanto non accada con le fonti animali. Non è quindi un discorso di quantità assoluta, bensì di biodisponibilità: nella carne una buona parte del ferro contenuto si trova legato ad una struttura chiamata EME, la quale facilita il passaggio a livello intestinale, mentre il ferro vegetale si trova esclusivamente sotto forma di sale inorganico.
Si è sempre parlato molto del ferro anche perché, indifferentemente dalle scelte alimentari, la deficienza di ferro è la più comune carenza nutrizionale a livello mondiale e, tra i gruppi a rischio, vi sono proprio sportivi e vegetariani/vegani. Ma circoscriviamo meglio. Tra i vegani, dagli studi effettuati fino ad ora, è emerso che una minore presenza di ferro, sotto forma di riserve, è presente più che altro nelle Donne, per essere precisi nelle Donne in età fertile. Ciò non dovrebbe stupire più di tanto considerato l’aumentato fabbisogno del minerale nel mondo femminile dovuto alle perdite mestruali. Se a questo aggiungiamo che il fabbisogno di ferro negli sportivi aumenta del 30 – 70 % è doveroso non sottovalutare la questione per le atlete vegane.
Perché è importante il Ferro
Il ferro nel nostro corpo è presente nell’ordine di pochi grammi ma è, non di meno, un nutriente essenziale e imprescindibile. Tra le funzioni vitali che assolve, la principale, o meglio dire quella dove ne viene impiegata la quota maggiore, riguarda il trasporto dell’Ossigeno dai polmoni ai tessuti. Il trasporto avviene nel sangue mediante l’emoglobina, una proteina globulare contenuta nei globuli rossi, la quale lega l’ossigeno molecolare grazie proprio al Ferro.
Quando la concentrazione nel sangue di Emoglobina scende sotto un determinato livello si parla di Anemia. Esistono diverse cause dietro ad un abbassamento del valore plasmatico di emoglobina, e quindi diverse forme di Anemia, ma quella causata da carenza di Ferro è la più diffusa. Mancando il ferro viene a mancare una delle materie prime fondamentali per la sintesi dell’emoglobina e si ferma quindi il meccanismo di sintesi, l’eritropoiesi. Per fortuna il nostro corpo è intelligente: oltre ad aumentare l’assorbimento intestinale in stato di carenza, abbiamo delle vere e proprie riserve (ferritina) atte a “proteggerci” da questa evenienza. Tuttavia, se la carenza è cronica nel tempo anch’esse verranno depauperate e per quanto aumenti l’assorbimento intestinale se non provvedo a “nutrire” di ferro il mio corpo sono guai.
Che io parta in riserva o che faccia il pieno, se voglio andare lontano, avrò comunque bisogno di fare benzina prima o poi. A tal proposito, sapere a che punto è il serbatoio (ferritina) potrebbe essere utile.
In presenza di anemia l’esercizio fisico è, come prevedibile, fortemente compromesso. I classici sintomi comprendono astenia (estremo affaticamento e debolezza) e fiato corto; tuttavia, anche una semplice deficienza di ferro, non inquadrabile come anemia, si è dimostrata essere limitante, specialmente in atlete femmine impegnate in discipline di resistenza.
Cosa fare
In caso di sospetta anemia o anche solo di soggetto predisposto (sesso femminile, sport di resistenza, grandi perdite di sangue durante il ciclo) è senza dubbio raccomandabile un consulto Medico. Un’attenta integrazione potrebbe rivelarsi necessaria in alcuni casi.
L’approccio alimentare sul sano, invece, si articola, ancora una volta, in due punti.
1) Considerato che se ne assorbe di meno, assumerne di più. Semplice. Secondo l’Istituto di Medicina Americano i vegetariani/vegani dovrebbero aumentare dell’80% l’assunzione di Ferro per sopperire alla minore biodisponibilità.
Le fonti vegetali di Ferro, per fortuna, non mancano: cereali integrali, frutta secca, legumi, cacao ed alcune verdure, su tutte il radicchio.
Tuttavia, aumentare dell’80% significa portare, rispettivamente per maschio e femmina, a 18 e 32 mg il fabbisogno giornaliero, il che può rivelarsi arduo da rispettare, specialmente per le femmine. Arduo ma non impossibile, se ben programmato.
2) Utilizzare dei “trucchetti” dietetici per agevolare l’assorbimento intestinale.
Il più famoso riguarda senza dubbio l’accostamento di alimenti ricchi in ferro e vitamina C. Il potere riducente della Vitamina C rende infatti più solubile il ferro aumentandone considerevolmente (si parla addirittura di triplicare) l’assorbimento. La vitamina C la troviamo soprattutto negli agrumi quindi i classici esempi sono la spruzzata di limone sull’insalata e la spremuta d’arancia come accompagnamento ai legumi. Anche il peperoncino è ricco di vitamina C, e non è neanche male il suo contenuto in Ferro.
Un secondo accorgimento è quello di limitare i fattori che, invece, l’assorbimento lo inibiscono. Come prima cosa sarebbe meglio, quando possibile, assumerne il meno possibile in contemporanea ad un pasto ricco di ferro. Mi riferisco nello specifico a the, caffè e cioccolato, i quali contengono forti inibitori dell’assorbimento quali polifenoli ed acido tannico.
Altri inibitori sono invece presenti proprio nelle fonti principali di ferro ed è, quindi, impossibile separare gli uni dagli altri: in questo caso il riferimento è ai fitati, anche noti come acido fitico, contenuti in legumi, cereali integrali e frutta secca. Ma anche qui si può fare qualcosa. Abbiamo a disposizione degli alleati per ridurre la presenza di acido fitico: acqua ed enzima fitasi.
Acqua. Il classico ammollo in acqua dei legumi consente di disperdere nell’acqua di cottura i fitati e, in un secondo momento, di perderli semplicemente cambiando l’acqua (purtroppo perdiamo anche parte del ferro, oltre ad altri minerali).
Enzima fitasi. L’enzima fitasi rende, invece, digeribile l’acido fitico scindendolo nelle sue parti e neutralizzandone, così, il ruolo anti – nutrizionale. Per agevolare l’azione dell’enzima la germogliatura di cereali e legumi è molto efficace, così come la maltatura utilizzata per orzo, segale e frumento.
Altre tecniche, sempre correlate all’azione idrolitica della fitasi, sono la fermentazione (miso, tempeh, amasake) e la lievitazione (meglio se lievitazione naturale o con pasta acida).
Ultima chicca: Sai dirmi qual è l’alimento più ricco di ferro?
La carne? No, anche se in effetti, come abbiamo detto, il ferro della carne è il più facilmente assimilabile.
Gli spinaci? Ma per carità, è una leggenda nata da un errore di trascrizione avvenuto un secolo fa.
E quindi?
Sono alcune SPEZIE: timo, maggiorana, semi di cumino, origano, alloro, basilico, prezzemolo, cannella, rosmarino, pepe nero ecc. ecc.
Lo so, lo so, quale potrà mai essere la quantità di spezie che assumo in un pasto? Ma certo, non sono sufficienti da sole per prevenire o curare stati carenziali. Le spezie sono però un valido sostituto del sale, per insaporire i prodotti salati, e dello zucchero, per quelli dolci e rappresentano, quindi, un alleato in più. Come si dice a milano “Piutost che nient, l’è mej piutost!”
Zinco
Lo zinco è un minerale presente nel nostro organismo in soli 2 grammi ma assolutamente essenziale perché coinvolto in moltissimi processi metabolici. Agisce come cofattore enzimatico soprattutto nella regolazione e modulazione dell’espressione genica e nella crescita e nel differenziamento cellulare, ma è interessante per gli sportivi anche per il suo ruolo protettivo nei confronti dello stress ossidativo.
A livello alimentare le considerazioni da fare ricalcano quelle già fatte per il Ferro.
Come per il ferro, infatti, le fonti vegetali di zinco non mancano, ma presentano una minore biodisponibilità a causa della presenza di fitati.
Soluzione?
Anche qui la soluzione è semplicemente quella di aumentare l’introito giornaliero. L’istituto di Medicina Americano suggerisce di incrementare del 50% il consumo di Zinco e di aiutarsi con i trucchetti già utilizzati per il Ferro (fermentazione, ammollo, germogliatura, maltatura) per disattivare i fitati.
Per la cronaca, gli alimenti vegetali più ricchi di zinco sono: crusca, frutta secca e semi di lino.
Calcio
Se di Ferro e Zinco nel nostro organismo ne troviamo pochissimi grammi, di calcio ne troviamo invece circa un chilo, di cui circa il 99% mineralizzato nel tessuto osseo. La sua principale funzione è proprio questa: “mineralizzare” l’osso, rendendolo rigido e resistente. Una sua carenza, se cronica nel tempo, ha infatti gravi ripercussioni sulla salute dell’osso, specialmente se è carente anche l’introito di Vitamina D.
Maggiore la quantità nel corpo e maggiore è anche il fabbisogno, che ammonta a circa un grammo. Non essendo, però, particolarmente abbondante negli alimenti è sempre difficile rispettare tal quota ed è quindi un micronutriente “critico” in tutte le età della vita.
Nella mia attività da dietista, per esempio, se non contassi l’apporto delle acque (generalmente non conteggiate nei calcoli) raramente riuscirei a raggiungere il grammo nelle diete dimagranti. E parlo di diete onnivore.
Considerato che la maggior parte delle persone assume meno calcio di quanto sia raccomandato dalle linee guida e che nella dieta italiana quasi il 60 % del calcio alimentare proviene da latte e derivati, è indubbio che i vegani debbano porre una particolare attenzione a riguardo.
Per fortuna, in questo caso, non si richiede, come per Ferro e Zinco, di aumentare l’introito (nemmeno per atleti/e) bensì di assicurare all’organismo quello richiesto da linee guida, che corrisponde ad un grammo in età adulta e poco più in adolescenza. Inoltre, è importante prediligere fonti di calcio il più possibile biodisponibili. A tal proposito, se per l’assorbimento di Ferro e Zinco il “nemico” numero uno erano i fitati, per il calcio sono gli ossalati.
Soluzione?
Nessun terrorismo. Il consiglio è semplicemente quello di non fare troppo conto su alimenti ricchi allo stesso tempo di calcio e ossalati per soddisfare il fabbisogno. Lo dico perché verrebbe facile, oltre ad essere di solito molto graditi, gli alimenti ricchi di ossalati sono tra gli alimenti vegetali più ricchi in Calcio: bietole, rucola e spinaci.
Verdure ricche in calcio e povere in ossalati sono, invece, broccoli, cavoli e verze.
Ma non solo.
Piccolo quiz: quali sono gli alimenti più ricchi di calcio in assoluto? (se hai già letto il capitolo sul Ferro potresti avere già la risposta) Sono alcune spezie, ancora loro, in particolare basilico, maggiorana, timo, salvia, origano e menta. Certo, si tratta di una sostanza concentrata e non se ne utilizza una grande quantità a pasto, ma è, comunque, qualcosa.
Altro quiz: qual è il nutriente che consumiamo in quantità maggiore e tutti i giorni dell’anno? È facile, è l’acqua. Nell’acqua sono disciolti dei minerali e tra questi il calcio. Se compriamo l’acqua al supermercato, in alcune acque, di solito quelle leggermente frizzanti, la quantità di calcio è così abbondante da superare i 200 mg/L. Se consideriamo che il fabbisogno medio d’acqua supera i 2 L al giorno e che per lo sportivo supera i 3, la matematica ci dice che potremmo coprire la metà del fabbisogno semplicemente con l’acqua.
Se, invece, beviamo quella del rubinetto (soluzione migliore ecologicamente parlando) la quantità di calcio è variabile e dipende dal luogo in cui viviamo. Ad ogni modo, è importante sapere che il calcio contenuto nell’acqua è il più biodisponibile e che più beviamo, più calcio assorbiamo, motivo in più per ricordarsi di idratarsi a dovere.
Per finire, esistono in commercio ormai numerosi prodotti fortificati con calcio, cioè alimenti a cui il calcio è stato aggiunto artificialmente. Si tratta, solitamente, di alimenti per la prima colazione: succhi di frutta, cereali da prima colazione, latte e yogurt vegetali.
Iodio
L’esistenza stessa del sale IODato è già un indizio. Perché aggiungere lo iodio al sale?
Non è sufficiente l’alimentazione? Pensando in termini di popolazione, in effetti, no. Il motivo è semplice: lo iodio alimentare riflette lo iodio contenuto nel suolo e quest’ultimo purtroppo è carente, in alcune zone più che in altre. Rispetto agli altri nutrienti, inoltre, il contenuto di iodio è difficilmente prevedibile, proprio perché strettamente correlato alla zona di provenienza.
Detto ciò, lo iodio è un micronutriente essenziale, la cui carenza è causa di numerose patologie note come “iodine deficiency disorders” (disordini da carenza di iodio) tra cui il gozzo e l’ipotiroidismo congenito.
Una quota adeguata di iodio è, infatti, necessaria per il corretto funzionamento della tiroide, essendo lo stesso iodio il componente principale degli ormoni t3 e t4. Oltre a questo svolge altre funzioni vitali relative alla crescita ed allo sviluppo fisico e mentale, motivo per il quale è particolarmente critico per donne in gravidanza e bambini piccoli.
Gli alimenti più ricchi di iodio sono però, anche qui, i prodotti animali, in particolare i prodotti della pesca.
Soluzione?
Innanzitutto, anche nel regno vegetale abbiamo degli alleati ricchissimi in iodio. Cosi ricchi di iodio da aver provocato, in alcuni studi, addirittura il problema opposto, ovvero l’eccessivo apporto, potenzialmente responsabile dello sviluppo di ipertiroidismo, soprattutto nelle aree con grave carenza iodica.
Di che sto parlando? Se tra gli animali i più ricchi erano i pesci, tra i vegetali sono…le alghe! in particolare alcune alghe brune originarie del Giappone (Kombu e Wakame). Anche qui la quantità di iodio rimane altamente variabile.
Piccola rogna facilmente superabile: se i “nemici” del ferro erano i fitati ed i “nemici” del calcio erano gli ossalati, qui abbiamo i goitrogeni, antinutrienti in grado di influire negativamente su funzionalità tiroidea e metabolismo dello iodio se consumati in eccesso. Gli alimenti contenenti i goitrogeni vengono definiti alimenti gozzigeni e di fatto ci riferiamo alle crucifere, cioè cavoli, cavolfiori, rape ecc. ecc.
La soluzione è semplicissima: cuocerli.
Infine, ovviamente il sale iodato, da preferire a quello normale. Senza abusare, come si suol dire “sale poco ma iodato”.
Integratori
Come discusso nei precedenti paragrafi, nell’alimentazione vegana un’attenta integrazione svolge un ruolo chiave nella prevenzione di potenziali carenze vitaminiche e minerali. Nello specifico, si rivela necessaria l’integrazione di Vitamina b12 e consigliata quella di Vitamina D ed Omega 3; vi sono poi altri nutrienti, penso per esempio al ferro, che meritano un’attenzione particolare in soggetti a rischio come, sempre per il ferro, lo sono le donne impegnate in sport di resistenza. In questi casi, le indicazioni di questa guida si limitano ai consigli nutrizionali sopra riportati e l’invito, in condizioni di carenza anche solo sospetta, è senza dubbio quello di rivolgersi ad una figura Medica di riferimento.
Ma leggendo “integratori” scommetto che vi aspettavate altro. Gli integratori che fanno gola sono quelli dagli effetti “performance – enhancing”.
Ma certo. Di integratori ce ne sono un’infinità, tuttavia quelli validati scientificamente e di particolare interesse per lo sportivo vegano sono solo due (tra quelli legali si intende): creatina e β-alanina.
Creatina: la creatina è una sostanza presente naturalmente nei nostri muscoli che entra in gioco ogni qual volta li sottoponiamo a sforzi brevi ed intensi. Una sua supplementazione ha dimostrato di essere efficace nel miglioramento delle prestazioni anaerobiche, nella forza e nell’ipertrofia muscolare.
Attenzione, gli effetti sono dovuti ad un aumentato livello di creatina nel muscolo, i quali variano sul lungo periodo, non alla singola assunzione. Faccio un esempio: se ho una gara tra tre mesi, una preventiva integrazione quotidiana di creatina sarà molto più efficace che una dose alta di creatina assunta ad una settimana dalla gara.
Bad news: le riserve di creatina di vegani e vegetariani sono inferiori a quelle degli onnivori. I rifornimenti di creatina ai muscoli giungono infatti, oltre che dalla produzione endogena (fegato in primis), dall’alimentazione. Purtroppo, nei prodotti vegetali la creatina è pressoché assente. Il che era prevedibile considerato che essa si trova ed agisce nei muscoli (mangiare carne significa mangiare muscolo).
Good news: la supplementazione di creatina mediante integratori si è dimostrata decisamente più efficace in soggetti con le riserve depauperate.
Per chi avesse intenzione di integrare, la soluzione vegana è rappresentata dalla creatina in polvere in quanto le capsule potrebbero contenere gelatina di origine animale.
Beta-Alanina. Per certi versi il discorso è simile. I vegani ed i vegetariani hanno riserve muscolari di carnosina inferiori a quelle degli onnivori. Carnosina? Si, esatto, sebbene quella che andiamo ad integrare sia poi la beta – alanina, la sostanza di interesse biologico è la carnosina; la beta – alanina altro non è che il “pezzo mancante”, il fattore limitante la sintesi di carnosina.
In pratica, integriamo la beta alanina per aumentare il livello muscolare di carnosina (assumere direttamente carnosina sarebbe molto meno efficiente).
Aumentando il livello muscolare di carnosina, i benefici riguardano prevalentemente la risposta all’affaticamento muscolare ed un incremento della performance nelle attività di breve durata. Nello specifico, agendo da tampone nei confronti dell’acidità, la carnosina agisce soprattutto nel metabolismo lattacido ed i suoi benefici si riscontrano prevalentemente nelle attività comprese tra 1 e 4 minuti.
Considerazione finale e personale
La dieta vegana è conciliabile con l’attività sportiva di alto livello?
Sì, certo, ma con criterio e con attenzione alle potenziali carenze. Il nostro corpo non ragiona in termini di alimenti bensì in termini di nutrienti, indifferentemente dalla fonte di provenienza.
Detta così sembra che gli onnivori possano mangiare senza criterio. Non è così ovviamente, ma dal punto di vista delle carenze un pizzico di verità c’è: diciamo che chi segue una dieta onnivora senza criterio incorre più facilmente in obesità e sindrome metabolica (e quel che ne consegue) piuttosto che in carenze nutrizionali.
Il motivo è semplice: la cultura popolare è onnivora e l’esistenza stessa del primo e del secondo ne è la prova. Passare dalla dieta onnivora alla dieta vegana semplicemente TOGLIENDO conduce verosimilmente a carenze: se io tolgo i secondi invece di sostituirli avrò una dieta ipoproteica (e non solo).
Considerazione personalissima. Un altro potenziale rischio nell’alimentazione vegana è rappresentato da chi fa informazione sul web. Mi riferisco al filone evoluzionistico e complottistico (l’uomo frugivoro ecc. ecc.). Preferisco non approfondire, ma ho letto cose che mi hanno fatto rabbrividire.
A seguire un esempio giornaliero in cui tutti i parametri sopra elencati sono rispettati.
Giornata esempio
Dieta da 2600 calorie per atleta Femmina.
COLAZIONE:
“Porridge”
Bevanda vegetale di mandorla fortificata con vitamina D e calcio – una tazza, 200 ml
Fiocchi d’avena – 60 grammi
Fragole – 100 grammi
Noci – 15 grammi
Semi di Chia – 15 grammi
Cannella per insaporire
SPUNTINO:
Yogurt di soia – 200 ml
1 Banana
Semi di Lino – 15 grammi
PRANZO:
“Risotto”
Riso Integrale – 120 grammi
Piselli – 200 grammi
Funghi Porcini – 80 grammi
Radicchio – 150 grammi
Olio – 1 cucchiaio
Prezzemolo e Pepe nero per insaporire
MERENDA:
“Pane e burro d’arachidi”
Pane di segale – 60 grammi
Burro d’Arachidi – 2 cucchiaini da spalamare sul pane
CENA:
“Pasta in crema di Cannellini”
Pasta Integrale – 120 grammi
Fagioli Cannellini – 120 grammi
Zucchine – 200 grammi
Olio – 1 cucchiaino
Prezzemolo e Pepe nero per insaporire
VALORI NUTRIZIONALI:
Energia: 2580 kcal
Proteine: 108 grammi (17% del fabbisogno)
Grassi: 67 grammi (23% del fabbisogno)
Carboidrati: 386 grammi (60% del fabbisogno)
Ferro: 42 mg
Calcio: 1342 mg
Vitamina D: 227 IU
Ratio Omega 3/Omega 6: 1:2
INTEGRAZIONE:
Vitamina B12: 6 µg
Vitamina D2: 1500 IU
DHA: 2 g Microalgae Oil
FONTE DATI: USDA
Calcolato mediante: Excel
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